Itinerari

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Al di là delle conoscenze che i reperti archeologici consentono di acquisire intorno alla necropoli protostorica, non si è in grado di individuare per il primo insediamento urbano un’origine cronologicamente certa, tantomeno di seguirne con continuità l’evoluzione dall’Età antica al Medioevo, come invece da questo all’Età moderna e contemporanea.
Nel Vallo di Diano gli unici centri capaci di documentare una tale continuità sono Teggiano e Atena. Per Sala invece la situazione è affatto diversa. Essa sorge verisimilmente nell’Alto Medioevo, già dal sesto o settimo secolo come prima occupazione del territorio, allorquando un nucleo di longobardi vi si stabilisce con probabili finalità militari, creandovi una struttura fortificata, il castrum o castello, che fu anche certamente residenza signorile, la curtis, o palazzo, cioè la sala germanica.
Di questa fase originaria non rimane traccia materiale evidente, né si coglie un riflesso nella documentazione oggi conservata negli archivi pubblici. Comunque sia, se vi fu all’origine un nucleo longobardo, come il toponimo invita a supporre, esso assunse una fisionomia meglio definita dopo il Mille, più precisamente durante la dominazione normanna: a quel periodo infatti risalirebbe la fondazione di alcune chiese cittadine, come San Leone nono, Santo Stefano e Sant’Eustachio. Nella fioritura di quel periodo, prodotta anche dalla felice situazione demografica del tempo, pare che l’insediamento sia andato configurandosi come una tipica Terra normanna, con un nucleo abitato principale e alcuni casali rurali dislocati in vari punti del suo territorio, San Damiano, Santa Lucia, Sant’Angelo, in continuità con gl’insediamenti più antichi.
L’importanza di Sala cresce gradualmente durante il regno svevo. Infatti, intorno al 1230, Federico secondo dispone un restauro del castello ai fini della difesa territoriale. Lo stesso sovrano alcuni anni più tardi, nel 1246, a causa della Congiura ordita dai Sanseverino, principi di Salerno, e da altri baroni del Regno, cinge d’assedio Sala, espugnandovi la roccaforte e apportando una prima grave distruzione.
Ripresasi durante l’età angioina e aragonese, Sala subisce un’altra distruzione nel 1497, allorquando – sempre a causa dell’insubordinazione dei Sanseverino, suoi Signori feudali – gli Aragonesi ne assediano il castello, radendolo definitivamente al suolo e arrecando pesanti danni all’insediamento, agli edifici pubblici e privati, distruggendo deliberatamente la documentazione e ogni altra testimonianza monumentale della famiglia baronale ribelle.
Nell’Età moderna l’insediamento rifiorisce lentamente: il Cinquecento è un secolo di generale ripresa demografica e ciò favorisce in qualche modo anche la situazione locale, che risente tuttavia dell’opprimente regime politico e fiscale, tipico della dominazione vicereale spagnola. La situazione si aggrava drasticamente con la metà del diciassettesimo secolo, quando la peste del 1656 sconvolge il Mezzogiorno: anche Sala viene decimata dall’epidemia, con conseguenze pesanti sulla sua struttura demografica, sociale ed economica.
La ripresa tuttavia sopraggiunge col Settecento: le migliorate condizioni economiche e un più stabile assetto demografico, sullo sfondo della ritrovata autonomia politica del Regno sotto la dinastia borbonica, sono anche alla base dello sviluppo urbano di Sala. L’edilizia privata e quella ecclesiastica dell’epoca ben riflettono tale favorevole circostanza; significativi a tal proposito sono gli esempi dei palazzi gentilizi edificati dalle famiglie Bove, Grammatico e Acciari, la Grància di San Lorenzo, le cappelle gentilizie degli stessi Acciari e dei Bigotti. Tra le chiese va segnalata in particolare quella di Santo Stefano Protomartire, restaurata nel corso del diciottesimo secolo.
Nell’Ottocento, soprattutto durante il Decennio francese, si pongono le basi per le trasformazioni più importanti che segneranno le vicende cittadine. Sala, pur conservando le sue caratteristiche originarie di centro agricolo, andrà assumendo gradualmente importanza come sede amministrativa, con propensione per quelle attività economiche e commerciali che, a tutt’oggi, la caratterizzano nel Vallo di Diano. Si tratta di un cambiamento profondo, con alcuni riflessi certamente positivi sul piano civile e socioeconomico, che si è protratto ancora per tutto il ventesimo secolo. Nel corso di quest’ultimo, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, un’intensa attività edilizia da un lato e dall’altro una crescita del commercio hanno accelerato e marcato l’evoluzione di Sala da originario paese agricolo in centro di servizi e di attività commerciali e industriali.
Il mancato sviluppo dell’agricoltura – oggi ferma nell’ambito dell’autoconsumo familiare e di una proprietà frazionata – trova le sue radici anche nel declino sociale dell’antico ceto possidente, quello stesso che, traendo ricchezza dalla terra, aveva disseminato – tra Sette e Ottocento – di dimore gentilizie il centro urbano e di ville il contado. Ai palazzi delle famiglie Bove, Gatta e Grammatico, come pure quelli dei Bigotti, dei De Petrinis e degli Oliva, corrispondono altrettanti casíni nelle contrade rurali dei Puntali, di Santa Teresa dei Gatta, del Tempone, della Profíca, di Sant’Agata e di Godelmo. Sugli uni e sugli altri hanno inciso le vicende delle relative famiglie. Solamente qualcuno di quei palazzi è stato abitato fino a qualche anno addietro da piccoli nuclei degli originari proprietari (come il palazzo Bove), mentre altri – anche per estinzione dei casati – si presentano purtroppo allo stato di rudere, come il palazzo Bigotti, fagocitati da fabbriche moderne, come il palazzo Gatta, alla Valle, o trasformati in una dimensione condominiale, come il palazzo Grammatico, con qualche isolato e recente tentativo di recupero, messo in atto per il palazzo De Petrinis.
Lo stesso si dica per il destino toccato alle ville sette e ottocentesche, tra le quali si segnalano quelle, un tempo davvero rilevanti, al Tempone, che fu proprietà dei Grammatico-Boezio, e in contrada Godelmo, il casino appartenente agli Oliva: la prima si presenta con il solo scheletro, dopo una sistematica spoliazione dei manufatti d’arte; la seconda è individuabile grazie all’unica struttura originaria superstite, il monumentale ingresso con l’arco di pietra a tutto sesto. Riflessi emblematici della metamorfosi del territorio sono evidenti pure in un altro genere di strutture edilizie, come le settecentesche Taverne, in stato di disgregazione lungo la Via Provinciale nell’omonima contrada, originariamente stazione di sosta lungo la Stradale Regia, la via che da Napoli conduceva alle Calabrie e che ripeteva il tracciato della più antica consolare romana, la via Annia, collegante Capua con Reggio.
Alla luce della radicale trasformazione del tessuto socio-economico cittadino degli ultimi cinquant’anni ben si comprende, dunque, il declino del centro storico, da tempo abbandonato dalle antiche casate e dalle famiglie borghesi, oggi pressoché privo delle attività artigiane che un tempo l’animarono; al contempo si spiega anche il graduale ma inesorabile spostamento delle principali attività commerciali e amministrative dell’ottocentesco centro cittadino, che si dispiegava intorno alla Piazza Umberto primo e al corso Vittorio Emanuele, verso le aree di più recente urbanizzazione, lungo l’asse tracciato dalle vie Mezzacapo e Matteotti fino alla frazione di Trinità.
La situazione attuale del centro storico – nel quale sono evidenti e diffusi i segni di ammodernamento delle originarie strutture edilizie sette e ottocentesche –, i danni che vi ha apportato il terremoto del 23 novembre del 1980 e gli interventi che a quell’evento sono seguiti, nel confronto con l’espansione del moderno centro urbano, rendono viepiù percepibile la portata della trasformazione avvenuta in questa seconda metà del XX secolo, di sicuro la più radicale e profonda che sia stata registrata dal 1497 ad oggi.